La cartella clinica incompleta può condurre a dichiarare sussistente la responsabilità sanitaria
Con la recente ordinanza n. 11224/2024, la Corte di Cassazione ha ribadito l’importanza di tenere una cartella clinica completa e corretta, affermando che la carenza di documentazione sanitaria può essere valutata dal Giudice come una circostanza idonea a dimostrare il nesso di causalità tra la condotta sanitaria e il danno lamentato dal paziente.
La cartella clinica, quale atto pubblico, rappresenta uno strumento informativo attraverso cui è possibile ricostruire, con riferimento al ricovero considerato, la storia clinica del paziente, l’evoluzione di patologie, gli esami diagnostici e le terapie effettuate ed, eventualmente, individuare la causa del decesso.
È, dunque, fondamentale che la cartella clinica sia completa e che le informazioni ivi contenute siano corrette.
La cartella clinica costituisce, altresì, un elemento di prova per accertare profili di responsabilità sanitaria e, quindi, per giudicare la condotta medica.
Con l’ordinanza n. 11224 del 2024, la Suprema Corte ha ribadito l’importante principio giurisprudenziale, secondo cui: “in tema di responsabilità medica, l’eventuale incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudice può utilizzare per ritenere dimostrata l’esistenza di un valido legame causale tra l’operato del medico e il danno patito dal paziente allorché proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l’accertamento del relativo nesso eziologico e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare la lesione”.
La Corte di Appello di Lecce, nell’esaminare la medesima vicenda poi giudicata dalla Suprema Corte di Cassazione, aveva escluso, in presenza di una cartella clinica lacunosa, la responsabilità della struttura sanitaria e dei sanitari per la morte della paziente, verificatasi a causa di un’omessa diagnosi di una dissezione aortica. Tuttavia, i giudici di seconde cure erano giunti a tale decisione senza attribuire la debita rilevanza alla carenza di documentazione sanitaria a cui, secondo loro, si poteva supplire attraverso le dichiarazioni della sorella della paziente deceduta, contenute nella denuncia – querela e rese nell’immediatezza dell’evento.
In altri termini, la Corte di Appello non aveva dato alcun peso alla circostanza, peraltro reiteratamente evidenziata nella consulenza tecnica d’ufficio, di lacunosità della cartella clinica che aveva, addirittura, impedito di ricostruire l’evoluzione clinica della patologia della paziente, nonché la stessa causa del decesso, rimasta incerta.
I giudici di seconde cure avevano ritenuto di poter compiere l’accertamento del nesso di causalità tra la condotta dei sanitari e la morte della paziente partendo dalle dichiarazioni rese dalla sorella della stessa ai Carabinieri poco dopo l’accaduto.
Nello specifico, la sorella – che aveva accompagnato la paziente al Pronto soccorso - aveva dichiarato che quest’ultima le aveva detto - in attesa della ripetizione del dosaggio degli enzimi cardiaci - di avvertire ancora dolori allo sterno, ma che gli stessi erano più sopportabili.
Sulla base di tali dichiarazioni, i giudici avevano affermato che la condotta tenuta dai sanitari del Pronto soccorso non era censurabile. Invero, secondo la Corte di Appello doveva ritenersi corretto il comportamento dei medici, consistito nell’eseguire sulla paziente (giunta in PS accusando dolore toracico) un ECG e un prelievo per dosaggio di enzimi cardiaci, nonché nell’aver atteso prima di eseguire ulteriori esami diagnostici..
Oltre a non aver tenuto conto della rilevante e palese carenza documentale in funzione della formulazione del giudizio di responsabilità, l’ulteriore errore in cui è incorsa la Corte di Appello è quello di aver escluso la responsabilità dei medici per il fatto che, in ogni caso, la dissezione aortica non poteva essere diagnosticata, in quanto non vi erano mezzi per farlo. Invero, è pacifico che la mancanza di macchinari o di personale qualificato, non costituisce un’esimente di responsabilità, ma può integrare un’ipotesi di inadempimento.
Alla luce degli errori commessi dalla Corte di Appello, la Cassazione ha cassato la sentenza e ha rinviato la causa alla medesima Corte territoriale in diversa composizione, per avere quest’ultima “violato il principio - fondato sul rilievo che la carenza della documentazione sanitaria acquisibile presso la struttura non può ridondare a detrimento del paziente - secondo cui, in tema di responsabilità medica, l'eventuale incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudice può utilizzare per ritenere dimostrata l'esistenza di un valido legame causale tra l'operato del medico e il danno patito dal paziente allorché proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l'accertamento del relativo nesso eziologico e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare la lesione (ex multis, Cass. n.12218/2015; Cass. n. 27561/2017; Cass. n. 26248/2020)”.
Secondo i dettami della Cassazione, la Corte di Appello dovrà decidere la vicenda, tenendo in considerazione:
- la lacunosità della cartella clinica;
- il fatto che il dolore toracico, avvertito dalla paziente, era persistito durante il lasso di tempo in cui era stata lasciata in attesa;
- che le indagini diagnostiche, finalizzate ad accertare l'eventuale dissezione aortica, avrebbero potuto essere avviate anche mediante accertamenti strumentali non eccessivamente complessi e invasivi;
- che, ove fosse stata tempestivamente diagnosticata una dissezione aortica in corso, la paziente avrebbe potuto essere avviata ad una terapia farmacologia o ad un trattamento chirurgico, eventualmente previo tempestivo trasferimento in struttura più attrezzata e la stessa sarebbe potuta sopravvivere.