La condanna del soggetto apicale non costituisce titolo autonomo di responsabilità amministrativa dell’ente

Con la sentenza n. 42968/2024, la Cassazione censura una decisione di merito che, nel condannare l’ente ai sensi del D.Lgs. 231/2001, deduce la sua responsabilità dalla condanna dei suoi soggetti apicali: posta la distinzione tra i criteri di imputazione riferibili alla persona giuridica e alla persona fisica, l’accertamento della penale responsabilità della seconda non costituisce un automatico titolo di responsabilità della prima.
A cura di Avv. Teresa Breschi e Dott. Domenico Pio Collura
Nel caso di specie, veniva contestato il delitto di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle disposizioni in tema di salute e sicurezza sul lavoro, in relazione all’infortunio mortale occorso a un dipendente nel corso dell’esecuzione di lavori in quota, senza l’utilizzo di dispositivi anticaduta.
Accogliendo la ricostruzione accusatoria, i giudici di merito (segnatamente, il Tribunale di Rimini e la Corte d’Appello di Bologna) condannavano la società subappaltatrice (unitamente al Datore di Lavoro e al Dirigente), nonché il Direttore tecnico di cantiere dell’altra società a cui i lavori erano stati affidati, per violazione delle norme del D.Lgs. 81/2008.
A seguito di impugnazione, la decisione di appello veniva annullata dalla Quarta Sezione della Cassazione, con rinvio ad altra sezione della CdA felsinea, evidenziando l’errore interpretativo dei giudici di merito con riferimento all’art. 111 D.Lgs. 81/2008 (“Obblighi del datore di lavoro nell'uso di attrezzature per lavori in quota”), ed esplicitando i corretti criteri ermeneutici cui attenersi.
Tuttavia, anche la decisione emessa a valle del giudizio rescissorio così instauratosi viene oggi cassata, in quanto non si è uniformata alla sentenza di legittimità “per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa” (art. 627, co. 3, c.p.p.).
In particolare, la sentenza risulta viziata nella parte in cui ha riconosciuto la penale responsabilità delle persone fisiche e, con un fallace automatismo, anche della persona giuridica, non attenendosi alle scansioni indicate dalla sentenza rescindente (in merito alla corretta “progressione valutativa” da applicare nel caso concreto). In altri termini, il Collegio di merito – secondo la Cassazione - ha valorizzato la precedente condanna dei soggetti apicali quale "primo titolo autonomo" sufficiente a fondare, sic et simpliciter, l’affermazione della responsabilità amministrativa dell’ente, con ciò disattendendo i criteri di imputazione esplicitati dall’art. 5 del D.Lgs. 231/2001 (interesse o vantaggio dell’ente).
Pertanto, ribadito che non si può argomentare la sussistenza di tali requisiti oggettivi sulla base della mera condanna del soggetto apicale, un’altra Sezione della Corte di Appello di Bologna dovrà condurre una valutazione specifica e concreta avente ad oggetto la “condotta” della persona giuridica (ossia, nel caso di specie, le decisioni organizzative assunte al fine di risparmiare sui costi prevenzionistici), per decidere se all’ente possa essere attribuita la responsabilità amministrativa da reato, ai sensi del D.Lgs. 231/2001.
Accogliendo la ricostruzione accusatoria, i giudici di merito (segnatamente, il Tribunale di Rimini e la Corte d’Appello di Bologna) condannavano la società subappaltatrice (unitamente al Datore di Lavoro e al Dirigente), nonché il Direttore tecnico di cantiere dell’altra società a cui i lavori erano stati affidati, per violazione delle norme del D.Lgs. 81/2008.
A seguito di impugnazione, la decisione di appello veniva annullata dalla Quarta Sezione della Cassazione, con rinvio ad altra sezione della CdA felsinea, evidenziando l’errore interpretativo dei giudici di merito con riferimento all’art. 111 D.Lgs. 81/2008 (“Obblighi del datore di lavoro nell'uso di attrezzature per lavori in quota”), ed esplicitando i corretti criteri ermeneutici cui attenersi.
Tuttavia, anche la decisione emessa a valle del giudizio rescissorio così instauratosi viene oggi cassata, in quanto non si è uniformata alla sentenza di legittimità “per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa” (art. 627, co. 3, c.p.p.).
In particolare, la sentenza risulta viziata nella parte in cui ha riconosciuto la penale responsabilità delle persone fisiche e, con un fallace automatismo, anche della persona giuridica, non attenendosi alle scansioni indicate dalla sentenza rescindente (in merito alla corretta “progressione valutativa” da applicare nel caso concreto). In altri termini, il Collegio di merito – secondo la Cassazione - ha valorizzato la precedente condanna dei soggetti apicali quale "primo titolo autonomo" sufficiente a fondare, sic et simpliciter, l’affermazione della responsabilità amministrativa dell’ente, con ciò disattendendo i criteri di imputazione esplicitati dall’art. 5 del D.Lgs. 231/2001 (interesse o vantaggio dell’ente).
Pertanto, ribadito che non si può argomentare la sussistenza di tali requisiti oggettivi sulla base della mera condanna del soggetto apicale, un’altra Sezione della Corte di Appello di Bologna dovrà condurre una valutazione specifica e concreta avente ad oggetto la “condotta” della persona giuridica (ossia, nel caso di specie, le decisioni organizzative assunte al fine di risparmiare sui costi prevenzionistici), per decidere se all’ente possa essere attribuita la responsabilità amministrativa da reato, ai sensi del D.Lgs. 231/2001.