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La Direttiva (UE) 2024/1760: un quadro normativo comune per la due diligence in materia di sostenibilità

Il 5 luglio 2024 è stata pubblicata la "Corporate Sustainability Due Diligence Directive".
La Direttiva CSDDD definisce regole comuni per la due diligence in materia di sostenibilità, articolate in 7 macro-obblighi, da implementare valorizzando anche gli ulteriori sistemi di compliance di cui ogni ente è già dotato (tra cui, in particolare, i cd. Modelli 231). 


A cura di Luca De Marchi

La Direttiva (UE) 2024/1760, pubblicata in Gazzetta lo scorso 5 luglio, definisce un quadro normativo comune per la due diligence in materia di sostenibilità e sancisce la responsabilità delle grandi imprese rispetto a rischi e impatti ambientali (i.e. deforestazione, inquinamento, danni agli ecosistemi) e sociali (i.e. lavoro minorile, sfruttamento del lavoro, caporalato) che possono derivare dalle loro attività di business nonché dalle relazioni con controparti commerciali, quali fornitori e subfornitori. 

Ambito di applicazione soggettivo
Sono tenute ad assolvere gli obblighi in materia di dovere di diligenza di cui alla presente Direttiva:
•    le società stabilite nell’Unione Europea con, in media, più di 1000 dipendenti e un fatturato netto a livello mondiale di oltre 450 000 000 € nell’ultimo esercizio in cui è stato adottato o si sarebbe dovuto adottare il bilancio annuale;
•    le società che hanno concluso accordi di franchising o di licenza nell’Unione in cambio di diritti di licenza con società terze indipendenti, qualora tali accordi garantiscano un’identità comune, un concetto aziendale comune e l’applicazione di metodi aziendali uniformi, e qualora tali diritti di licenza ammontino a oltre 22 500 000 € nell’ultimo esercizio in cui è stato adottato o si sarebbe dovuto adottare il bilancio annuale, e a condizione che la società abbia registrato un fatturato netto a livello mondiale superiore a 80 000 000 € nell’ultimo esercizio in cui è stato adottato o si sarebbe dovuto adottare il bilancio annuale; 
•    in caso di gruppi societari, gli obblighi devono essere soddisfatti dalla società capogruppo (qualora quest’ultima abbia come attività principale la detenzione di azioni in filiazioni operative e non sia coinvolta nell’adozione di decisioni gestionali, operative o finanziarie che interessano il gruppo o una o più delle sue filiazioni, da una filiazione operativa stabilita nell’Unione).

Oltre alle grandi imprese direttamente interessate dalla disciplina della CSDDD, la portata innovativa della norma si ripercuoterà anche su tutte le PMI coinvolte nella catena di fornitura, che dovranno adeguarsi, per lavorare in filiera, al rispetto dei criteri definiti dalla Direttiva, imparando a comprendere, valutare e saper gestire le opportunità e i rischi dei profili di sostenibilità rispetto alla propria attività. Di conseguenza, anche le PMI dovranno ridefinire i processi produttivi e di prestazione di servizi e ridefinire i propri assetti organizzativi.

L’importanza delle verifiche sulla supply chain è, ancor di più oggi, evidente e non trascurabile. Si pensi, ad esempio, ai procedimenti di amministrazione giudiziaria che, ultimamente, hanno visto coinvolte numerose e importanti aziende italiane operanti nel settore della moda, proprio per l’inadeguatezza dei controlli svolti sulla catena di fornitura, caratterizzata dalla commissione di condotte non compliant con la normativa in materia di salute e sicurezza, giuslavoristica e tributaria.

Ambito di applicazione oggettivo
Gli obblighi previsti dalla Direttiva si sostanziano in: 
  1. integrazione della Due Diligence nelle politiche aziendali e nei sistemi di gestione dei rischi aziendali: sarà fondamentale adottare specifiche disposizioni interne sul tema (es. codice di condotta, policy aziendali, procedure, politiche, informative di sostenibilità);
  2. individuazione e valutazione di rischi e impatti negativi (reali e potenziali) sui diritti umani e sull’ambiente: ogni società dovrà eseguire una mappatura delle attività proprie, quelle delle filiazioni e, se collegate alle proprie catene di attività, quelle dei partner commerciali, al fine di individuare i settori generali in cui è più probabile che gli impatti negativi si verifichino e siano di maggiore gravità; 
  3. adozione di misure adeguate a individuare, prevenire, arrestare, minimizzare o riparare i rischi e gli impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente: conclusa la mappatura di cui sopra, ogni società dovrà implementare misure di mitigazione adeguate. Tra essere figurano, ad esempio i) piano d’azione di prevenzione (c.d. Dovere di Prevenzione); ii) clausole contrattuali che impegnano il partner commerciale al rispetto del codice di condotta aziendale e del piano d’azione di prevenzione; iii) investimenti mirati a migliorare ed adeguare gli impianti, le infrastrutture, i processi operativi; iv) offerta di sostegno mirato e proporzionato alla PMI che è partner commerciale della società, se necessario alla luce delle risorse, delle conoscenze e dei vincoli della PMI, anche fornendo o consentendo l’accesso allo sviluppo delle capacità, alla formazione o al potenziamento dei sistemi di gestione; 
  4. coinvolgimento delle parti interessate (reali e potenziali) mediante consultazioni efficaci e trasparenti: per parti interessate si intendono i dipendenti, i sindacati, i consumatori e anche gli altri individui, gruppi, comunità o entità i cui diritti o interessi potrebbero essere influenzati dai prodotti, dai servizi e dalle operazioni dell’impresa, delle sue filiali e dei suoi partner commerciali;
  5. valutazioni periodiche delle misure di due diligence con riferimento alle proprie operazioni e alla catena di valore: ogni società dovrà valutare l’implementazione e l’efficacia di sistemi per l’identificazione, prevenzione, mitigazione, cessazione e minimizzazione degli impatti negativi. Le valutazioni dovrebbero basarsi su indicatori qualitativi e quantitativi ed informazioni provenienti dalle parti interessate all’impresa;
  6. rendicontazione pubblica della politica e delle misure di due diligence implementate;
  7. messa a disposizione di un canale di comunicazione aperto e trasparente per l’emersione di rischi e impatti negativi: le aziende dovranno adottare procedure accessibili ed efficaci per consentire a persone e organizzazioni, che nutrono preoccupazioni circa i possibili rischi e impatti negativi derivanti dall’attività dell’impresa, di inoltrare reclami e segnalazioni e adottare misure che prevengano le ritorsioni. Ad esempio, un sistema di segnalazione Whistleblowing in linea con la normativa dettata dal D.lgs. 24/2023 potrebbe ritenersi idoneo a tale scopo. 

Le sanzioni 
Le società sono responsabili per i danni causati sulle persone e sull’ambiente se non hanno rispettato, intenzionalmente o per negligenza, gli obblighi di due diligence. 
In caso di violazione, le sanzioni saranno applicate dalle autorità di vigilanza nazionali preposte al controllo del rispetto della CSDDD, che gli Stati Membri sono chiamati a istituire, e potranno consistere in sanzioni pecuniarie, interdittive (i.e. interruzione attività, sospensione delle esportazioni) o applicazione di dazi aggiuntivi sui prodotti. 

Un approccio integrato
Per conformarsi alla nuova Direttiva, le aziende dovranno dunque definire una strategia aziendale per la due diligence e implementare un sistema di controllo della catena di fornitura adeguato.
In questo contesto, uno strumento utile è certamente identificabile nel Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo ex D.Lgs. 231/2001: l’adozione di un Modello può contribuire indirettamente al perseguimento della piena conformità con la Direttiva, sia con riferimento alle valutazioni ed ai presidi apposti con riferimento alla supply chain sia con riferimento alla gestione degli adempimenti ambientali.
Un approccio integrato che sfrutti le sinergie dei due sistemi di compliance consentirebbe, senza alcun dubbio, di incrementare l’efficacia e l’efficienza di entrambi.