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Morte da amianto: la Società deve risarcire, salvo provare le misure di prevenzione

Per non incorrere in responsabilità non è sufficiente che il Datore di Lavoro non si sia rappresentato la nocività dell’asbesto, dovendo provare le iniziative in concreto attuate a protezione dei dipendenti. È quanto chiarisce la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con ordinanza del 17 febbraio 2025.


A cura dell'Avv. Edoardo Esposito e della Dott.ssa Carlotta Garufi


L’occasione per questa utile puntualizzazione è scaturita da un lungo contenzioso che ha visto contrapporsi la A. S.p.A. e i familiari di E.E., deceduto nel 2014 dopo aver contratto il mesotelioma pleurico causato dall’esposizione a polveri di amianto. 

In apertura della motivazione, la S.C. ha affrontato il delicato tema del nesso causale in materia di responsabilità per esposizione a sostanze nocive.

In prima analisi, i giudici hanno ricordato che il nostro ordinamento è ispirato al principio di equivalenza delle cause; per cui, al fine di ricostruire i rapporti causali, occorre tener conto di ogni fattore che possa aver concretamente cooperato a favorire l’evento dannoso o ad aggravarne gli effetti, senza che sia possibile, in automatico, riconoscere rilevanza esclusiva solo ad uno degli elementi che abbiano formato la serie causale. 
Calando tale principio in materia di esposizione all’amianto, si deve dedurre che, solo qualora si possa ritenere con certezza che l’intervento di un fattore estraneo sia stato di per sé sufficiente a produrre l’infermità, è possibile escludere l’esistenza del nesso eziologico. 
Chi sia stato esposto all’amianto per motivi lavorativi ha pertanto diritto a vedersi riconosciuta l’origine professionale della malattia, anche qualora nel giudizio risultino altre esposizioni o condizioni che non possano definirsi fattori alternativi di tipo esclusivo. 

L’ordinanza affronta poi il tema della mancata consapevolezza all’epoca dei fatti della nocività dell’esposizione ad amianto, rilevando che, seppur risalga agli inizi del 1900, è stata collegata al rischio di contrarre il mesotelioma negli anni ’60. Ad ogni modo, osservano i giudici che, ai fini del giudizio di prevedibilità (e dunque rimproverabilità), deve aversi riguardo alla potenziale idoneità della condotta a provocare danni, senza essere necessario prefigurarsi in concreto l’effettivo evento poi verificatosi.
Tale giudizio di prevedibilità non riguarda solo specifiche conseguenze dannose che possono derivare da una condotta, ma tutte le conseguenze collegabili ad una circostanza pericolosa per la salute
E questo ancor di più,  alla luce di quanto previsto all’art. 2087 c.c., che impone all’imprenditore l’adozione di tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica dei prestatori di lavoro, che nel caso in commento sono risultate inadeguate. 

A nulla può dunque rilevare l’indubbia minore conoscenza dei rischi legati all’esposizione all’amianto da parte del Datore di Lavoro nel passato. Affinché questo vada esente da colpa, deve dimostrare “cosa ha fatto in positivo, vale a dire le concrete misure di prevenzione e di informazione adottate a protezione della salute dei lavoratori esposti alle polveri dannose.