Spendita di monete false e buona fede: la Cassazione chiarisce i confini applicativi
Spendita di monete falsificate e buona fede, la Cassazione torna sulla sottile differenza tra il delitto di cui all’art. 455 c.p. e quello di cui all’art. 457 c.p., entrambi reati presupposto della responsabilità dell’Ente ex D. Lgs. n. 231/2001. La consapevolezza della falsità al momento della ricezione del denaro vale a delineare l’ambito applicativo delle due norme, chiariscono i giudici.
A cura di Avv. Edoardo Asta e Dott.ssa Carlotta Garufi
Con la sentenza n. 4386 del 29 ottobre 2024 (deposito in Cancelleria del 28 novembre 2024), la Corte di Cassazione ha fornito utili chiarimenti circa la distinzione tra il delitto di “Spendita e introduzione nello Stato, senza concerto, di monete falsificate” di cui all’art. 455 c.p., e il delitto di “Spendita di monete falsificate ricevute in buona fede” di cui all’art. 457 c.p.
Al di là dell’interesse che tale pronuncia desta in punto di diritto sostanziale, il chiarimento dei giudici di legittimità assume rilevanza, come si vedrà, anche in ottica di responsabilità dell’Ente, essendo entrambe le fattispecie annoverate tra quelle che ne possono fondare il presupposto, ai sensi dell’art. 25-bis del D. Lgs. n. 231/2001.
Nel caso in esame, la S.C. ha confermato la pronuncia impugnata, la quale aveva condannato il ricorrente per il reato di cui all’art. 455 c.p. per la detenzione, e successiva spendita, di due banconote false dal valore di 100 euro ciascuna, aventi lo stesso numero seriale, nonché per il rinvenimento, presso l’abitazione del soggetto, di un’altra banconota falsa.
Nelle doglianze sottoposte all’attenzione della Cassazione, il ricorrente lamentava un’errata qualificazione del fatto da parte dei giudici territoriali, i quali, a suo dire, non avrebbero tenuto in considerazione la circostanza per cui le banconote sarebbero state ricevute in buona fede, attestata tra l’altro dalla non ricorrenza, nella specie, di alcuno degli indici rivelatori della consapevolezza della falsità. Alla luce di ciò, il fatto avrebbe dovuto essere sussunto nella fattispecie, dal trattamento sanzionatorio meno grave, di cui all’art. 457 c.p.
Nessuno di questi rilievi ha meritato accoglimento.
In apertura della decisione, i giudici del Collegio chiariscono la distanza tra le due ipotesi delittuose. In particolare, la differenza deve risiedere nella consapevolezza della falsità del denaro al momento della sua ricezione, che varrebbe a delineare l’ambito di applicazione delle due norme.
Perché possa trovare applicazione l’art. 455 c.p. è infatti necessario che la scienza della falsità delle monete o dei titoli equipollenti sussista nel colpevole all’atto della ricezione. Diversamente, nella meno grave ipotesi di cui all’art. 457 c.p. tale scienza deve essere posteriore al ricevimento della moneta contraffatta.
La consapevolezza della falsità del denaro al momento della ricezione sarebbe per i giudici rinvenibile da una serie di elementi indicativi, quali, ex multiis, la pluralità delle banconote contraffatte detenute o il difetto di qualsiasi indicazione, da parte dell’imputato, della provenienza del denaro o di qualunque diverso fine atto a giustificare la sua detenzione.
Ciò detto, la sentenza in esame offre utili spunti di riflessione anche ai fini della predisposizione e dell’aggiornamento dei Modelli di Organizzazione, Gestione e Controllo ex D. Lgs. n. 231/2001.
Sotto questo profilo, infatti, appare utile svolgere un’opportuna valutazione del rischio nei processi aziendali sensibili - anche al fine di recepire i chiarimenti interpretativi della Cassazione – prevedendo idonei presidi di controllo volti a verificare l’autenticità del denaro sin dal momento della sua ricezione e, conseguentemente, prevenire la commissione dei predetti reati.