Violenza contro gli operatori sanitari: una sfida penale e organizzativa per il sistema sanitario
A cura di Avv. Giuseppe M. Cannella e Avv. Luca De Marchi
Negli ultimi anni, le aggressioni ai danni degli operatori sanitari sono diventate sempre più frequenti e hanno raggiunto livelli allarmanti. Solo nel 2023, secondo i dati dell'Osservatorio Nazionale sulla Sicurezza degli Esercenti le Professioni Sanitarie e Socio-Sanitarie, si sono registrati circa 16.000 episodi di violenza.
Il fenomeno desta preoccupazione, sia per il numero crescente di episodi sia per le gravi conseguenze, fisiche oltreché psicologiche, sui professionisti coinvolti.
I recenti fatti di cronaca, come l'aggressione ai medici ed infermieri dell’Ospedale di Foggia dopo la morte di una giovane paziente, sono solo l’ultimo esempio di un problema strutturale che richiede risposte tempestive ed efficaci, anche dal punto di vista penalistico.
L’attenzione del Legislatore al fenomeno descritto è cresciuta negli ultimi anni, con interventi mirati a rafforzare la tutela degli operatori sanitari e sociosanitari. In particolare, la Legge 14 agosto 2020, n. 113 ha modificato l’art. 583-quater c.p., che punisce le lesioni personali cagionate a un pubblico ufficiale in servizio di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive, inserendo al secondo comma una nuova ipotesi di configurabilità della fattispecie: la violenza nei confronti del personale esercente una professione sanitaria. La stessa legge ha introdotto una nuova aggravante comune (art. 61, n. 11-octies, c.p.) che prevede un aumento della pena per i reati commessi con violenza o minaccia contro gli esercenti le professioni sanitarie e sociosanitarie.
Inoltre, a seguito delle modifiche introdotte dal D.Lgs. 19 marzo 2024, n. 31, il reato di lesioni nei confronti del personale sanitario è ora perseguibile d'ufficio, con un ulteriore rafforzamento della tutela di tali professionisti.
Accanto al reato di lesioni personali, può configurarsi altresì la fattispecie di cui all’art. 340 c.p., che punisce la condotta di chi cagiona un’interruzione o di chi turba la regolarità di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità. Un tale evento, invero, turba la regolarità del servizio pubblico, che subisce un significativo rallentamento per via della procurata indisponibilità di alcune sue unità lavorative, comportandone così un'alterazione del funzionamento, ancorché temporanea, oggettivamente apprezzabile e che incide sulla concreta operatività dell'attività in questione. Sul tema appare opportuno il richiamo alla tesi giurisprudenziale secondo cui "il reato di interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità è configurabile anche se l'interruzione o il turbamento della regolarità dell'ufficio o del servizio siano temporalmente limitati e coinvolgano solamente un settore e non la totalità delle attività" (cfr. Cass. Sez. VI, sentenza n. 334 del 2/12/2008).
Le strutture sanitarie possono essere considerate parti offese non solo in caso di lesioni al personale sanitario e sociosanitario, ma anche in presenza di comportamenti da parte degli utenti che turbano la regolarità del servizio erogato.
In tal senso, si segnala un provvedimento del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Mantova, che ha disposto l'imputazione coatta nei confronti di una donna per il reato previsto dall’art. 340 c.p. L'indagata, oltre ad aver reiterato chiamate infondate al 112 denunciando presunti maltrattamenti e lesioni ai danni di un parente ricoverato in una R.S.A., ha fatto intervenire, senza alcun reale motivo, un’ambulanza presso la struttura, sottraendo così il mezzo ai suoi compiti istituzionali. Tale decisione evidenzia una crescente sensibilità della magistratura nei confronti della tutela dell'efficienza e della regolarità dei servizi sanitari, riconoscendo l'importanza di contrastare comportamenti che ne ostacolano il corretto funzionamento.
Appare dunque opportuno riflettere sull’opportunità, per l’azienda ospedaliera, di costituirsi parte civile nel contesto di un processo penale riguardante lesioni subite dai propri operatori, al fine di ottenere il risarcimento sia dei danni patrimoniali che di quelli non patrimoniali. Tale scelta non solo tutelerebbe i diritti dei lavoratori coinvolti, ma salvaguarderebbe altresì gli interessi dell’organizzazione nel suo complesso. Tra i danni patrimoniali potrebbero annoverarsi, ad esempio, i costi derivanti dall'assenza del dipendente infortunato, la necessità di assumerne un sostituto temporaneo, nonché le spese connesse alla gestione dell’evento violento, comprendendo eventuali oneri legali e il supporto psicologico fornito. Quanto ai danni non patrimoniali, l’ente potrebbe avanzare richiesta di risarcimento per il pregiudizio subito in termini di danno all'immagine e alla reputazione aziendale.
In relazione alla fattispecie di interruzione di pubblico servizio non sono consentite misure cautelari, quali la custodia cautelare in carcere o altre misure cautelari personali, né sono applicabili le misure precautelari.
Con riferimento, invece, alla fattispecie di lesioni personali a personale esercente la professione sanitaria è consentita la misura della custodia cautelare in carcere, oltreché le altre misure cautelari personali. Quanto alle misure precautelari, invece, è previsto l’arresto facoltativo, mentre il fermo è consentito solo nel caso di lesioni personali gravi o gravissime.
Tra le proposte legislative per rafforzare la tutela degli operatori sanitari e sociosanitari, assume particolare rilievo l’approvazione, da parte del Consiglio dei Ministri, in data 27 settembre 2024, di uno schema di decreto legge che modifica gli articoli 380 e 382-bis c.p.p., estendendo l’arresto obbligatorio in flagranza agli atti di violenza che causano lesioni personali ai professionisti sanitari o producono danni ai beni mobili e immobili destinati all’assistenza sanitaria. Tali danni, compromettendo il servizio pubblico erogato dalle strutture sanitarie, giustificano l’applicazione dell’arresto in flagranza, garantendo una risposta immediata e incisiva alle aggressioni.
Un’altra novità rilevante è l’introduzione dell’arresto obbligatorio in flagranza "differita", che consente alle forze dell’ordine di intervenire entro quarantotto ore dall’evento delittuoso, qualora la condotta criminosa sia inequivocabilmente documentata da materiale video-fotografico. Questo meccanismo permette un intervento efficace anche quando l’aggressore non venga colto nell’atto del reato, rafforzando il presidio di legalità in situazioni di particolare gravità. Inoltre, il decreto modifica l’articolo 365 c.p., prevedendo un'aggravante per chiunque danneggi beni mobili o immobili all’interno, o nelle pertinenze, di strutture sanitarie o socio-sanitarie residenziali o semiresidenziali, sia pubbliche che private, estendendo la tutela anche ai beni di proprietà di medici e operatori sanitari. Se il reato viene commesso da più persone riunite, la pena è ulteriormente aumentata, a testimonianza della particolare gravità di queste condotte, che mettono a repentaglio non solo l’incolumità dei professionisti, ma anche la continuità dell’assistenza sanitaria.
Desta dubbi di incostituzionalità, invece, il disegno di legge a firma del Sen. Ignazio Zullo, che propone la sospensione per tre anni dall’accesso al servizio sanitario nazionale per chi aggredisce medici e infermieri, con i conseguenti risparmi sulla spesa pubblica da investire in pubblica sicurezza (cd. “Daspo Sanitario”). Tale misura parrebbe in contrasto con il diritto di uguaglianza (art. 3, Costituzione) e il diritto alla salute (art. 32, Costituzione).
In relazione alla gestione del rischio da parte delle strutture sanitarie, merita menzione il fatto che, già nel 2007, il Ministero della Salute aveva emanato una specifica raccomandazione, inserendo tra gli eventi sentinella da segnalare, attraverso procedure dedicate, alle Regioni e al Ministero stesso, la "morte o grave danno in seguito a violenza su operatore sanitario". In una prospettiva più ampia e sistemica, tale categoria di eventi non può che essere considerata tanto come una questione di sicurezza delle cure e di gestione del rischio clinico, quanto come un problema di tutela della sicurezza degli operatori.
Si impone, dunque, un approccio integrato al rischio, che coinvolga le attività clinico-assistenziali e le strutture sanitarie nel loro complesso. Ogni azienda sanitaria dovrebbe formalizzare il proprio impegno nella prevenzione degli episodi di violenza ai danni degli operatori, adottando un Piano per la Prevenzione degli Atti di Violenza sugli Operatori Sanitari, armonizzato con il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR). Tale Piano deve avere come obiettivo la promozione della segnalazione degli episodi violenti, la sensibilizzazione del personale, l'individuazione delle aree maggiormente a rischio e la predisposizione di supporti legali per gli operatori vittime di aggressioni. Esso deve inoltre essere orientato a un'analisi approfondita del contesto lavorativo, volta a identificare i fattori di rischio, quali la tipologia di utenza, le attività svolte e le condizioni operative. Il Piano deve prevedere misure di prevenzione e controllo, articolate in tre principali categorie: tecnologico-strutturali, comprendenti l'installazione di sistemi di allarme, videoregistrazione, illuminazione adeguata e arredi sicuri; organizzative, miranti a promuovere un clima lavorativo positivo, a definire protocolli con le forze dell'ordine, a potenziare i servizi di vigilanza interna e a formare adeguatamente il personale; formative, con l’obiettivo di fornire al personale le informazioni necessarie sulle procedure da adottare in caso di violenza subita e sulle forme di assistenza disponibili.
In conclusione, è imprescindibile sensibilizzare le Procure della Repubblica affinché adottino una maggiore solerzia nello svolgimento delle indagini e nell’esercizio dell’azione penale in relazione agli episodi di violenza contro gli operatori sanitari. Solo attraverso una tempestiva e rigorosa attività investigativa è possibile evitare che tali reati sfuggano alla giustizia a causa della prescrizione, compromettendo la percezione dell’effettività della tutela giuridica. In questo contesto, il valore deterrente della pena potrebbe costituire un argine significativo al dilagare del fenomeno, trasmettendo un chiaro messaggio sull’importanza della tutela del personale sanitario e sulla ferma volontà dello Stato di intervenire in maniera efficace e tempestiva. Tuttavia, accanto all’azione repressiva, è altrettanto cruciale che le aziende sanitarie adottino una gestione integrata del rischio, implementando misure di prevenzione adeguate e mirate a ridurre l’esposizione degli operatori a situazioni di pericolo. Un approccio proattivo da parte delle strutture, che includa non solo la formazione del personale e l’adozione di strumenti tecnologici idonei, ma anche l’analisi costante dei fattori di rischio, è essenziale per arginare il fenomeno in maniera duratura. Il rafforzamento dell'azione penale, congiunto a una solida strategia preventiva, rappresenta dunque non solo una forma di giustizia per le vittime, ma anche uno strumento di salvaguardia dell'integrità del servizio sanitario, essenziale per il benessere collettivo.